La società investe in maggioranze sindacate con co-investitori. Poi i soci assumono deleghe operative su precisi progetti di crescita. In cinque anni raccolti 40 milioni per sei deal.
E’ un private equity sempre più fluido quello che si vede sul mercato moderno. Parliamo delle strategie di investimento e delle modalità. Se infatti i fondi chiusi restano lo strumento primario, nel sottosuolo spuntano anno dopo anno iniziative ibride e alternative più o meno nuove in generale ma sicuramente poco presenti in Italia. […]
SEI DEAL E 40 MILIONI
Un esempio di private equity ibrido è Route Capital, sgr lanciata tra il 2014 e il 2015 da tre soci, Nicola Carminucci, professionista con 15 anni di esperienza nel private equity e poi manager in aziende industriali fra le quali Interpump, Giuseppe Altieri, proveniente dal mondo investment banking e Marco Ferrara, nella consulenza strategica con background fra gli altri in McKinsey.
Un po’ private equity, un po’ club deal, Route Capital investe in piccole o medie aziende buone, che hanno generato cassa anche nei momenti di crisi e che hanno potenzialità di crescita in settori ben precisi e cioè l’industriale, il meccanico e oleodinamico e in una certa misura anche il manifatturiero.
” Investiamo attraverso maggioranze sindacate – spiegano i manager a MAG – sia con altri private equity, sia coinvolgendo di volta in volta un gruppo di investitori fra i quali imprenditori, manager e family office che investono nel deal tramite veicoli ad hoc”.
Per ogni deal “investiamo circa il 10% del nostro equity, per un ticket medio che finora è stato di 200mila euro, al quale aggiungiamo le risorse – e le competenze – dei nostri investitori che come in un club deal possono scegliere in quale operazione investire”. Nel complesso “realizziamo investimenti che vanno dai 5 ai 15 milioni di euro, per una media di 10 milioni circa”. Dalla nascita tra il 2014 e il 2015, Route Capital ha concluso sei operazioni e due exit – con una media di uscita pari a due o tre volte l’investimento – raccogliendo circa 40 milioni di euro tra le risorse dei manager e quelle dei 60 investitori. “E’ una formula che piace, la trasparenza è l’elemento principale oggi per coinvolgere gli investitori”.
Quanto alla strategia imprenditoriale, i soci seguono le aziende anche nel consiglio di amministrazione assumendo deleghe operative per determinati progetti di crescita e non nel day by day, che resta in capo all’imprenditore. Progetti che ” solitamente consistono nella crescita internazionale o tecnologica e digitale, nonché per linee esterne – spiegano. Gran parte della nostra strategia si basa sugli add on o sull’unione di più realtà complementari, con lo scopo di aumentare fatturato ed ebitda e creare aziende più grandi e strutturate.” No ad aste ma “lavoriamo su deal più piccoli, in quanto per le aziende più grandi il mercato è molto più presidiato e con una leva bassa che non va oltre il 2,5x”.
Qui l’articolo integrale (pg.32-35).